È incredibile pensare che nella lingua italiana esistano circa due milioni di parole che hanno la pretesa di spiegare tutto:
dagli oggetti che ci circondano al senso delle nostre emozioni. Allora mi chiedo, se si attribuisce il termine orfano al figlio che ha perso un genitore, come mai non esiste una parola per indicare un genitore che perde un figlio? Che sia una mancanza del vocabolario? Nessuno ci ha mai pensato?
Forse la verità è che nessuna parola, nessun suono e nessun segno potrebbero mai sopportare il peso di questo dolore. Ed è proprio quando mancano le parole che noi esseri umani andiamo in crisi; mancano i blocchi fondamentali che ci permettono di condividere le emozioni, interiorizzarle e superarle.
La scomparsa del giovane Marco Di Rella, “il guerriero gentile” come lo ricordano le persone che lo hanno conosciuto, è stata una notizia che ha scosso l’intera città di Nichelino. Una città che, per esprimere al meglio il suo senso di comunità, si è raccolta intorno alla famiglia e agli amici per ricordare e rivivere i momenti più belli vissuti insieme a lui. Un viso sorridente e un animo disponibile che però sapevano infiammarsi per la sua squadra del cuore, l’Inter. La capacità di arrabbiarsi senza mai offendersi. Con gli amici del pub, quelli del calcetto, i colleghi di lavoro ovunque la sua leggerezza, che non era mai superficialità, era stato la chiave per aprire il cuore di tante persone. Pur conoscendolo poco, dai tempi in cui lui e mio figlio frequentavano i centri estivi, sono riuscita attraverso i racconti delle lettere di amici e parenti a rivivere e a custodire un ricordo prezioso e preciso della persona che era Marco.
Quando la ferita è troppo fresca, si sa, è difficile conservare anche solo quel piccolo barlume di speranza, e quel giorno di ritorno dalla funzione ho visto un pozzo negli occhi di mio figlio. Notavo la sua difficoltà nel trovare le parole giuste, quando invece avrebbe voluto poter condividere ciò che aveva dentro. Ed ecco di quei milioni di parole improvvisamente non riusciva a farne più nulla. Da madre però so bene che l’unico modo di liberarsi di un peso è quello di tirarlo fuori e confrontarsi con un’altra persona. Mio figlio versò il caffè e mi porse la tazzina, senza proferire parola. Capivo che voleva parlare, ma non riusciva a farlo, e per questo motivo preferì aspettare che fosse pronto.
Continuavo a vedere nella sua espressione un misto di rabbia e impotenza. Dopo un lungo sospiro a bassa voce disse tre semplici parole: “Non è giusto…”
Pensai a tutte quelle volte che da madre avevo parlato o discusso con i miei due figli dell’ideale della giustizia. “È vero, può essere ingiusto. Ma ricorda che nessuna vita per quanto sia difficile o breve, può considerarsi di poco valore. Il senso della vita non si trova nella sua durata o nell’agio che sei riuscito a costruire, ma nei ricordi che sei riuscito a lasciare nel cuore delle persone. Quella sua semplicità, quella voglia di prendere la vita con leggerezza o il coraggio di mostrarsi sorridente anche nei momenti più difficili sono cose che in qualche modo puoi portare con te, senza dimenticare chi te le ha insegnate. Ricordati di Marco per il suo modo fervente e sincero di vivere le sue passioni, quelle stesse passioni ed emozioni che ha condiviso con tante persone”.
Quelle parole erano scivolate fuori come un fiume in piena, senza ragionare, a cuore aperto, guardando mio figlio negli occhi.
Lui si alzò, prese le tazzine del caffè e le mise nel lavello, poi si voltò e mi diede un grande abbraccio. Poche settimane dopo, in un altro dei nostri caffè, scoprii che quella nostra conversazione non si era fermata solo alle parole. Per esempio oggi a Nichelino è nato un nuovo Inter Club e porta il nome del tifoso più sfegatato e appassionato che la città abbia mai avuto.
Come l’ultima volta, vorrei salutarvi con una frase che mi ha colpito e che mi ricorda Marco: “Condividere ti rende più grande di quello che sei. Più dai agli altri, più vita sei in grado di ricevere.”
Nadia Santo