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Dalla guerra ai granai vuoti

Etica
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Era il 23 marzo, quindi ad un mese esatto dall'inizio del conflitto, quando il vicedirettore generale della FAO Maurizio Martina lanciava l'allarme sull'aumento dei costi dei cereali.

Russia e Ucraina rappresentano, insieme, il granaio di molti Paesi, 50 dei quali presenti in Africa e  nel continente asiatico, che necessitano di ricevere dal 30 al  60% del loro fabbisogno dagli Stati in guerra.

La preoccupazione è andata crescendo con il protrarsi del conflitto e dalla metà di maggio i toni allarmistici e il tam tam di richiami preoccupati è aumentato. Già a marzo, dunque, i prezzi agricoli globali erano aumentati del 13% rispetto al mese precedente, ma ben il 30% in più rispetto all'anno scorso

Il blocco dei porti sul Mar Nero e in particolare quello di Odessa non ha consentito l'uscita e il carico sulle navi dei preziosi cereali. Nei silos ucraini, disseminati sulle rotte mercantili, pare siano stoccati più di 20 milioni di tonnellate tra grano e mais

Sono a rischio, quindi, i paesi più poveri allarmati dai costi che limitano gli approvvigionamenti sia per il consumo che per le semine. Non avere di che fecondare la terra con nuovi semi significa aprire le porte alla fame in Stati in cui, peraltro, la fame non è mai stata debellata. Il motto della FAO “Fiat panis” che ci sia pane, diventare pane, dopo 77 anni dalla sua nascita non ha prodotto grandi risultati in Africa, ma questo è un altro capitolo che andrebbe dibattuto.

Sono in allarme anche stati dell'occidente che dalla Russia e l'Ucraina importano percentuali significative del loro fabbisogno: vale a dire mais per gli allevamenti, grano duro e grano tenero  rispettivamente per pasta e prodotti di panificazione.

Almeno su questo l'Italia dovrebbe essere un po' al riparo dipendendo dall'Ucraina per il comparto cerealicolo rispettivamente con il 3% di frumento e 13% di mais e quindi non si capisce l'impennata dei prezzi sui costi di panificazione o altro.

Il clima si surriscalda e le risposte si agitano scomposte e contrastanti. Per esempio è singolare il ricorso al protezionismo sul grano imposto dall'India che ha fatto divieto di esportazione dei suoi cereali per preservare il fabbisogno interno. L'India, però,  ha fatto marcia indietro dopo aver ricevuto dall'America la garanzia di 500 milioni di forniture militari, purché lo Stato non le acquisti dalla Russia. Come ha scritto La Presse “Armi fa rima con grano!”

 

GLOBALIZZAZIONE DELLA FAME

Se i silos non verranno svuotati non si saprà dove immagazzinare i nuovi raccolti, anche se, purtroppo, si dovrà fare i conti con una contrazione del mietuto di circa il 40% a causa della siccità invernale prima e della guerra dopo.

Tra le grandi Agenzie ONU e “sorelle” collegate sono scese in campo tutte le più autorevoli sigle vocate a sostenere i bisogni dei paesi  più vulnerabili, a favorire un commercio senza ostacoli, a investire nella produzione alimentare vale a dire Banca Mondiale, FAO (Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura), WTO (Organizzazione mondiale del commercio), WFP PAM (Programma Alimentare Mondiale), FMI (Fondo Monetario Internazionale). Tutti hanno chiesto un'azione congiunta sulla sicurezza alimentare, sottoscrivendo un documento che denuncia quanto la crisi internazionale “stia spingendo milioni di persone verso la povertà e la denutrizione”.  Ma cosa si cela dietro questa esortazione accorata a non affamare l'Africa sub-sahariana, Medio Oriente e Maghreb e in Asia il Pakistan, lo Sri Lanka, l'Iran?

Emergono inquietudini sulla stabilità di questi Paesi dove la popolazione si sta sollevando perché manca il cibo e le rivolte “potrebbero portare a nuove ondate migratorie”. Già, è forse questo che si teme più di ogni altra compassionevole vicinanza con i popoli in difficoltà?

Ma perché si è arrivati ad avere una dipendenza così elevata dei cereali russi o ucraini (basti dire che la Somalia importa ben il 75% di grano!)

FRUMENTI IBRIDI

Quanto incide il famoso “land grabbing” di cui scrivevamo tre mesi fa: terre sottratte all'agricoltura di sostentamento per deputarle a monocolture di multinazionali? Chiediamolo al Mali, per esempio, dove la coltivazione normale del miglio o le terre utilizzate dagli allevatori nomadi sono state soppiantate da coltivazioni di cereali per biocarburanti.  O chiediamolo ancora alla Repubblica Democratica del Congo, o meglio, a Padre Giovanni Piumatti, missionario in Nord Kivu per 45 anni: “Non è per questa guerra che arriverà la fame in Africa. E' una vergognosa menzogna. Ma è la guerra silenziosa che l'Europa e ora anche la Cina, stanno conducendo da anni, rubando le terre.  Negli anni '90  in tutto il territorio di Bingi ogni famiglia produceva e mangiava grano; circa 2000 sacchi di fagioli partivano soltanto dalla piccola Lukanga per alimentare la gente di Kinshasa. Poi arrivò a Lubero una società americana, la MIDEMA, con frumento ibrido e fertilissimo che rendeva 4/5 volte di più di quello normale e dagli USA arrivarono anche sacchi di farina a prezzi bassissimi. Vennero costruiti mulini. Sempre negli anni '90 a Luotu, vicino a Lukanga e a Katondi un progetto canadese faceva ricerche sulle patate e  “insegnava” a seminare fagioli ordinatamente in filari. La gente non conservava il proprio cestino di semi naturali da ripiantare e tardi si accorse che un seme ibrido non si riproduce. Oggi non c'è più un chilogrammo di semi non ibridi di grano; a Lukanga i fagioli bastano appena per una famiglia… Da 20 anni sono arrivati i fucili, i ribelli rubano quel che trovano e gli uomini vanno a setacciare l'oro o a grattare la cassiterite per recuperare il coltan. MIDEMA e i piccoli progetti canadesi non ci sono più”.

Conclusione: la non riproducibilità è la ricchezza delle multinazionali che producono i semi. La semente selezionata in laboratorio non può essere tramandata in autonomia dall'agricoltore. Esito finale? La fame o la dipendenza, che per la RDC è ben al 69%.

Facile capire perché certi annunci più che suscitare una reale condivisione al presunto bisogno di pace per… non affamare, provochino una deflagrante irritazione e a questa menzogna reagisce anche l'amico John Mpaliza che tuona: “I potenti del mondo gridano ‘dobbiamo aiutare l'Africa che rischia di morire di Covid e fame’. Ricordo che è l'Occidente a vivere di Africa e sono anni che noi moriamo di malaria! Lasciateci in pace! .

Patrizia Ferrara