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Dom, Dic
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Cosa non va nella legge

Etica
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La legge sul testamento biologico è entrata in vigore qualche giorno fa.


Idratazione e nutrizione
Si tratta di uno dei principali punti critici. Riguarda la possibilità che un paziente cosciente e stabile, dunque non in una fase terminale di una malattia, e pur tuttavia bisognoso di essere idratato e nutrito per via artificiale (per esempio attraverso un sondino), possa trovare la morte in seguito alla sua scelta di sospendere nutrizione e idratazione in tal modo somministrati.Il punto di partenza è molto semplice: la legge definisce tout court (quindi sempre e comunque) come una terapia sanitaria la somministrazione di acqua e cibo per via artificiale, che come tale può essere rifiutata. Una posizione che non vede concorde l'intera comunità scientifica: vi sono casi - non infrequenti - in cui l'idratazione e nutrizione artificiali non sono trattamenti sanitari, ma semplici atti di sostegno vitale proposti al paziente.

Manca l’obiezione di coscienza
Il sanitario è tenuto, secondo la norma approvata, a "rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo" e "in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale". Quindi, poiché la norma considera idratazione e nutrizione artificiali sempre e comunque come trattamenti sanitari ai quali è possibile rinunciare, il medico è chiamato ad agire attivamente e a sospenderli anche nei casi in cui essi non siano configurabili come accanimento terapeutico. 

La legge dunque  prevede che il medico non solo potrà, ma anche dovrà compiere l'atto della sospensione della idratazione e nutrizione che porteranno come conseguenza certa alla morte del paziente. Ed egli non potrà rifiutarsi, giacché la norma non prevede un'esplicita possibilità di obiezione di coscienza.Sarà pur vero che nella pratica concreta casi simili saranno "risolti" con l'affidamento del paziente a un altro sanitario (anche della stessa struttura sanitaria) disposto ad agire conformemente alle richieste, ma è evidente che la mancanza di un'opzione di coscienza "vera", cioè fondata su un diritto soggettivo del medico, è un punto dolente.
Un punto rimasto irrisolto – assai serio e ben noto ai sostenitori della legge – è quello dell’obbligo per tutte le strutture sanitarie sia pubbliche che private di eseguire il dettato della legge.
Non è difficile immaginare che cliniche e ospedali cattolici non ne vorranno sapere di fare o lasciar morire i pazienti affidati alle loro cure, e che dunque si troveranno nella situazione di dover venire meno a una norma troppo rigida a fronte di una libertà fondamentale.Perché non si è provveduto a una modifica?La legge non parla mai di eutanasia o di suicidio assistito, e dunque è abusiva ogni interpretazione in questo senso. Ma se non consente né l’una né l’altra pratica, perché non le vieta esplicitamente? La richiesta di modificare in questo senso la legge è stata respinta, eppure l’assenza di limiti (come la malattia terminale per sospendere la nutrizione) e di condizioni (come l’elaborazione delle Dat insieme a un medico) lascia campo libero a letture problematiche nella pratica e a ricorsi in giudizio per allargare l’ambito e il modo di applicazione delle norme. 

Il registro unico
È il punto sul quale anche i sostenitori del provvedimento hanno riconosciuto che la legge ha un difetto, senza però apportarvi correzioni. Non è stato previsto un registro nazionale delle volontà di fine vita, o almeno una struttura su base territoriale che garantisca – nel rispetto della privacy, in altri àmbiti assicurata da regole minuziose – la ricostruzione di ciò che un cittadino ha lasciato scritto.
La legge, inoltre, 'sana' tutti i biotestamenti sinora raccolti dai più diversi soggetti (medici, notai, comuni...) sui moduli più disparati. In discussione è ora la certezza della volontà, dunque il centro stesso della legge. Che non doveva introdurre voci di spesa, e dunque non prevede un registro (che costa). Un emendamento alla Manovra 2018 ha stanziato per questo una cifra: per un registro che non esiste.

da “Avvenire”