Lavoro, dal latino labor, indica sia l’operosità dell’uomo, sia la fatica e la sofferenza connessi con il lavoro.
Anche la lingua tedesca ci aiuta a comprendere il significato pieno della parola “lavoro”: se da una parte, il termine Arbeit pone l’accento sull’attività umana connotata dalla fatica, dall’altra con Beruf la lingua tedesca collega il lavoro dell’uomo alla chiamata (berufen, chiamare), dal momento che, in qualche modo, il lavoro “chiama” ciascuno a svolgere una determinata professione per il bene comune, e l’aggettivo beruflich sottolinea l’essere “professionale”.
DAL LAVORO DIPENDE LA DIGNITÀ UMANA
Chi ama la sua professione infatti, la esercita con una competenza e una professionalità ammirevoli. Il senso pieno del lavoro è legato alla persona, anzi possiamo dire che nel lavoro si esprime la “condizione umana”: l’uomo trascorre la maggior parte della sua vita lavorando e il lavoro comporta sempre una parte di fatica e di sofferenza, sia fisiche che morali. Papa Francesco ha più volte messo in evidenza, anche alla luce di alcuni riferimenti biblici, l’ambivalenza del lavoro: in esso l’uomo può costruire o distruggere il mondo, può migliorarlo o peggiorarlo; nel lavoro l’uomo può scoprire se stesso, la propria condizione radicata nello spazio e nel tempo, la dipendenza da qualcosa di esteriore a lui. L’uomo può anche alienarsi nel lavoro, può sperimentarne la schiavitù, come testimoniano tante pagine di cronaca dei nostri giorni. L’attività lavorativa, mediante la quale l’uomo esiste nel mondo, “chiama” ciascuno a interrogarsi sul fine del proprio lavoro, invita a non appiattirsi esclusivamente sulla produttività fine a se stessa o sull’accumulo di denaro aprendosi a realtà “altre e alte”. Tra le quali la capacità di umanizzare, di lavorare per il bene comune, di creare legami di fraternità e di solidarietà mediante l’attività lavorativa. Tanto che, chi è privo del lavoro come i tanti disoccupati, o chi è costretto a non lavorare – basti pensare alle centinaia di migliaia di persone che perdono il lavoro a causa della guerra - sperimenta lo sradicamento da se stesso, dagli altri e dal mondo e la perdita della propria dignità.
Non è la prima volta che Papa Francesco ricorda che dal lavoro dipende la dignità umana, ma nel corso dell’Udienza Generale del 15 marzo si è spinto oltre, sostenendo che «Chi, per manovre economiche, per fare negoziati non del tutto chiari, chiude fabbriche, chiude imprese lavorative e toglie il lavoro agli uomini, compie un peccato gravissimo».
Ora, senza voler interpretare o parafrasare le parole di Papa Bergoglio, emerge una supremazia del lavoro, in quanto fonte di dignità, su qualunque altra valutazione economica. Si tratta di una prospettiva coerente con la pragmatica sociale e con l’esperienza di un Papa che viene “dalla fine del mondo”, ma che ormai ha fatto esperienza diretta delle contraddizioni della società occidentale industrializzata. Mentre le Encicliche che hanno preceduto Francesco hanno costruito una dottrina sociale, l’ammonizione del Papa non si presenta come una dichiarazione ideologica, ma piuttosto come una preoccupazione di chi esprime una verità: se non siamo in grado di costruire una società dove sia salvaguardata prima di tutto la dignità di ogni persona, rischiamo di fare veramente male.
IL RISCHIO DI UNA NUOVA DISOCCUPAZIONE
Si tratta di un argomento di estrema attualità e complessità, collegato ai più recenti risultati della ricerca scientifica e tecnologica, nonché alle conseguenti applicazioni. Il processo di innovazione tecnologica, che ha solo iniziato a cambiare la società, può portare a miglioramenti impensabili nella vita delle persone, ma allo stesso tempo, esiste il rischio di una trasformazione talmente radicale da rendere rapidamente obsoleta una quota molto significativa di lavoratori. Gli esempi sono già molto numerosi: l’home banking ha reso inutile il lavoro dei cassieri, le diverse facce della peer-to-peer economy allarma taxisti e retailer, i robot sfidano operai e chirurghi, per non parlare delle applicazioni derivanti dall’intelligenza e dalla visione artificiale. Ormai è chiaro che non si tratta di fantascienza, ma di un processo in corso che molto probabilmente tenderà ad accelerare con un andamento non lineare, ma esponenziale. Probabilmente questa trasformazione richiederà nuove competenze e offrirà anche nuovi posti di lavoro, ma indubbiamente espone anche l’economia globale al rischio di una nuova disoccupazione per obsolescenza delle risorse umane. Se da una parte è indiscutibilmente necessario investire con grande determinazione perché l’economia italiana riesca a stare sull’onda dell’innovazione, dall’altra è necessaria una riflessione ampia sulle implicazioni del cambiamento. Le parole di Papa Francesco rappresentano una sfida per gli stati, per l’economia capitalistica e anche per quei mondi, come la cooperazione, da cui ci si potrebbe attendere qualche suggerimento in termini di nuovi modelli di solidarietà sociale in grado di affrontare i problemi emergenti.
Questa sfida richiede uno sforzo collettivo, obbliga a una discussione ampia e inclusiva, in quanto solo la società nel suo insieme e i territori nella propria specificità possono cercare di reagire all’impatto delle nuove tecnologie che possono togliere non pochi posti di lavoro.
Don Gian Franco Sivera
Direttore Pastorale Sociale e del Lavoro Diocesi di Torino