Correva la primavera dell’anno 1805 e pochi mesi prima Napoleone si era autoincoronato imperatore dei francesi in Notre Dame a Parigi.
Ora però era ansioso di avere sulla testa anche un’altra corona: quella di re d’Italia.
“Messosi in viaggio con grandissimo seguito di cortigiani (perché voleva far illustre questa sua gita con apparato molto superbo e più che regio) e festeggiato con grandissimi onori per tutta la Francia, arrivava Napoleone il dì venti aprile Stupinigi, piccola ed amena villa dei Reali di Sardegna, posta a poca distanza da Torino”.
Cosi Corrado Botta nella sua Storia d’Italia, pubblicata nel 1839 (cioè gia in piena Restaurazione), descriveva l’inizio della tappa napoleonica a Torino, prima che il generale Bonaparte marciasse trionfalmente da imperatore alla volta di Milano per cingersi della corona ferrea e pronunciare la fatidica frase: “Dio me l’ha data, guai a chi me la tocca”.
A Stupinigi Napoleone soggiornò soltanto pochi giorni, abbastanza per rendere la sosta sul suolo nichelinese più significativa di tante altre in giro per la penisola, disseminata di fontane dove Napoleone bevve, di strade che costruì e di letti dove dormì.
La citata narrazione del Botta fornisce alcuni particolari sugli aspetti ufficiali del soggiorno a Stupinigi, mentre ad esempio un altro libro ottocentesco, “Memoires d’une contemporaine”di Ida Saint-Elme, si sofferma su aneddoti più piccanti, come l’incursione notturna nella camera di una giovane dama. Cronache gossip delle quali l’imperatore, come è noto, fu indiscusso protagonista.
Napoleone dunque fece della palazzina sabauda la sua prima dimora imperiale in Italia. “Quivi concorsero a fargli onoranza i magistrati – annota il Botta - Ad alcuni parlò benignamente, ad altri superbamente. Riprese con parole aspre l’arcivescovo Buronzo, accusandolo di serbar fede ai re di Sardegna. Tolse dalla carica Pico, presidente del tribunale, e lo voleva anche far ammanettare perché, come diceva, l’aveva tradito nelle faccende veneziane. Infine trascorse in parole sdegnosissime contro i giacobini, e più quelli che l’avevano servito”.
Insomma scenate a non finire. Ce ne fu per tutti e la folla di maggiorenti che in pompa magna era venuto da Torino ad omaggiarlo rimase di stucco. “Aggiunse il sire, che li avrebbe fatti arar dritto, e chi non avesse arato dritto, avrebbe a far con lui - chiosa il cronista – Tutte queste cose disse e fece con modi tanto plebei, che tutti restarono persuasi che se aveva la forza non aveva la dignità e che, novizio ancora, male sapeva portare il nuovo imperio”.
A Stupinigi l’uomo rude e tracagnotto che stava mettendo a ferro e fuoco l’Europa per esportare a suo modo la Rivoluzione accolse “amorevolmente” una delegazione di “deputati milanesi”, venuti ad inchinarsi al “loro re”.
“Raccomandò loro fossero virtuosi: l’attiva via, la patria e l’ordine amassero – scrive il Botta – Dell’ordine parlava per dar contro ai giacobini, credendo che questa fosse buon’arte per adescare i re. Terminò minacciosamente dicendo che se alcuno avesse concetto gelosia pel regno d’Italia aveva una buona spada per disperdere i suoi nemici, il che era vero. I buoni Milanesi si stupivano a quelle sì vive dimostrazioni e argomentavano che il placido e grasso vivere fosse giunto al fine”.
Nella Palazzina di Caccia Napoleone rivide anche Pio VII, anticipandolo di poco nel rientro in Italia. Il papa infatti proprio in quei giorni sostò a Torino, di ritorno anch’egli da Parigi, dove si era fermato alcuni mesi dopo l'imbarazzante cerimonia dell’incoronazione in Notre Dame. E’ difficile pensare che l’incontro di Stupinigi sia stato casuale: piuttosto un’altra mossa della logorante partita a scacchi tra i due. Una partita che era iniziata con la firma del concordato nel 1801 e che sarà troncata alla maniera di Napoleone un decennio dopo, con i cannoni puntati su Roma e l’arresto di Pio VII. Anche allora problemi di ingerenze. Sul cammino glorioso e spedito del nuovo impero l’anziano pontefice si fece trovare piazzato di traverso ed ingombrante, persino da prigioniero.
Il 1805 passò in un baleno: in autunno la disfatta navale di Trafalgar; poi di nuovo il trionfo ad Austerlitz. La carrozza a di Napoleone era ormai lanciato a folle velocità verso il destino della sua ultima meta.
M. C.