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Dom, Dic
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Quando disboscarono il "Boschetto"

C'era una volta
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Durante la guerra non solo mancavano i generi di prima necessità; nei freddi inverni di allora, scarseggiava anche la legna da ardere, il carbone mancava del tutto.

Dopo l'otto settembre ’43 non solo si sfasciò l'esercito, ma anche gli addetti all'ordine e alla custodia dei beni demaniali, statali etc.

Il caos si diffuse rapidamente, non ricordo la data precisa di quando iniziò il saccheggio dei beni incustoditi; ma non posso dimenticare un giorno in particolare. Quella propaggine del bosco di Stupinigi si estendeva dal viale Torino e, costeggiando il torrente Sangone da un lato e via Stupinigi (ora via XXV Aprile) dall'altro, arrivava a poche centinaia di metri da via Torino. Gli abitanti dei dintorni, assalirono il bosco, armati di seghe ed asce, iniziando ad abbattere quei maestosi alberi. Nella mia mente persiste il ricordo prezioso di quando mio nonno "Cichin" mi portava in quel bosco; era una cattedrale della natura, gli animaletti fuggivano al nostro passaggio, ero affascinato dal canto degli uccellini, mi sembrava di entrare nel mondo delle fiabe.

Al bando le mie nostalgie infantili, ritorniamo a quei giorni caotici che posero fine a quella porzione di bosco. Colonne ininterrotte di persone, da mane a sera, con i mezzi di trasporto più disparati, percorrevano le strade che menavano al bosco. Altrettante colonne, con il carico di legname, percorrevano le strade in senso inverso. Questo andazzo durò parecchi giorni.

Un dì, come vedremo, non felice, il mio "amico" Tommaso Racca, detto "Tumà" che aveva fatto la prima guerra mondiale, mi propose di andare con lui a fare provvista di legna. Avevo tredici anni, con l'assenso di mia madre accettai. Muniti del carrettino leggero che mamma usava a rimorchio della bicicletta, carico di prodotti orticoli per andare al mercato, attrezzati con gli arnesi adatti, ci infilammo nella colonna che andava verso il bosco.

Una volta addentrati, avevamo scelto la nostra vittima... stavamo per iniziare la nostra opera per abbattere il povero l'albero, quando udimmo degli spari di armi da fuoco, seguiti dalle urla dei "disboscatori" che fuggivano in ogni direzione. "Tumà" mantenne il sangue freddo, aveva sperimentato simili casi durante la guerra, con una mano afferrò la mia, con l'altra il carrettino. Mentre gli altri fuggivano tra gli alberi, noi ci dirigemmo verso il torrente, lo guadammo indisturbati, convinti di averla fatta franca e ci avviammo verso casa. Avevamo fatto pochi passi, quando udimmo altri spari e contemporaneamente i fischi acutissimi dei proiettili che rasentavano i nostri corpi.  "Tumà" abbandonò il carrettino, mi spinse a terra poi a quattro gambe appiattiti il più possibile guadagnammo un viottolo in discesa, togliendoci dalla vista dei nostri potenziali assassini, quindi, gambe in spalla, a tutta velocità, ritornammo a casa, ansimanti e con gli occhi ancora sbarrati dal terrore, ma lieti di aver salvato la pelle.

Quale fu la causa di tale trambusto? Probabilmente una delle prime formazioni partigiane clandestine, nell'intento di sabotare, fece cadere un albero sui cavi dell'elettrodotto che attraversava il bosco, tranciandoli. Quel mattino i repubblichini, che collaboravano con i tedeschi invasori, nel tentativo di ristabilire l'ordine, intervennero provocando quel fuggi fuggi e quella sparatoria che non dimenticherò mai!

Orazio Ottaviani