Arrivata la primavera, la natura si risveglia come sempre…
Passando per il quartiere Castello di Nichelinotorneremo a veder rifiorire qualche esemplare rimasto di un albero di consistente dimensione (generalmente arriva a circa otto metri di altezza, ma può raggiungere anche i venti), con fiorellini giallo-verdi che iniziano a spuntare ad aprile. L’albero in questione è il gelso. Pianta originaria dell’Asia, Cina e dintorni, venne portata in occidente un migliaio di anni fa essendo molto ornamentale, facile da coltivare e produttrice di frutti buonissimi; esistono tre varietà con colori diversi dei frutti: nero, rosso e bianco. La più presente sul nostro territorio è senz’altro il gelso nero che ha come nome scientifico morus nigra, chiamato anche “morone”. Fruttifica nel periodo di giugno e luglio: i suoi frutti sono neri, simile alle more, da qui il nome appunto.
C’ERANO UNA VOLTA I “BIGAT”
Sovente ci accorgiamo della maturazione dei gelsi dal colore degli escrementi che i piccioni lasciano su auto e marciapiedi… Questa pianta però per secoli è stata anche indirettamente fonte di reddito e sussistenza per le famiglie contadine che abitavano nelle storiche cascine del nostro territorio. Infatti le sue foglie erano il nutrimento per i bachi da seta (che in dialetto venivano chiamati “bigat”). Questo animaletto produceva una bava che scaturiva da due opercoli sul suo corpo. Tale sostanza a contatto con l’aria si solidificava ed unita ad altre con procedimenti particolari diventava appunto filo di seta. Era abbastanza semplice accudire i bachi: per questo lavoro venivano impiegati i componenti delle famiglie che non erano braccia da dedicare alle fatiche della campagna, ovvero le donne, i bambini e gli anziani. Nonostante la bachicultura sia molto antica in Piemonte si affermò intorno al 1700. I gelsi in quel periodo divennero molto numerosi nelle nostre campagne: venivano piantumati principalmente ai bordi delle “bealere” e dei ruscelli, ma anche in campi appositamente predisposti.
LUNGO LE BEALERE
La mappa idrografica di quel periodo mostra, oltre al torrente Sangone, bel cinque corsi d’acqua che servivano ad irrigare i campi ed a far crescere i nostri amici gelsi. Troviamo la Gora Palazzo che passava vicino all’omonima borgata, la Leyretta che proveniva da Beinasco-Borgaretto, la Leyra, la bealera di San Quirico (nei pressi dell’omonimo cascinale) ed il ruscello Grivasola, ora quasi del tutto interrati. Nel periodo della foliazione il Comune forniva i “semi”, cioè le uova di questi bachi, con una precisa regolamentazione di tutte le fasi del lavoro. Non era raro vedere donne e bimbi andare a raccogliere le foglie di gelso. Le uova venivano incubate per qualche giorno finché le larve fuoriuscivano e cominciavano a nutrirsi delle foglie sminuzzate. Giunti a maturazione, questi bacolini “salivano il bosco”, cioè si posizionavano sui rami appositamente preparati e producevano il bozzolo. Questi bozzoli erano molto delicati e pativano l’umidità, quindi venivano sistemati in ambienti asciutti tipo solai e sottotetti. Molti allevatori sacrificavano spazi nelle loro camere da letto o in altri ambienti abitati per posizionare i bachi.
SETA DI QUALITÀ
Le cronache del tempo dicono che il filato prodotto a Nichelino fosse di ottima qualità e ricercato dalle filande. Quando questi bozzoli, chiamati “cuchet”, erano pronti venivano raccolti e lavorati prima che il baco uscisse e rovinasse il bozzolo stesso. A questo punto si doveva dipanare il filo prodotto, quindi i cuchet venivano immersi nell’acqua calda ed attraverso pettini speciali veniva ricavato il filo che, unito ad altri e ritorto, dava origine al filato. Questo lavoro veniva eseguito esclusivamente dalle donne e dalle ragazze che venivano suddivise in due categorie: prima si diventava “virere” con il compito di girare le manovelle dov’era alloggiato l’aspo, il rocchetto dove si raccoglieva il filato che veniva in seguito maneggiato dalle “filere”. Esse curavano delicatamente il filo annodando eventuali strappi. Per diventare “filere” servivano anni di esperienza per raggiungere un salario più alto.
Finite queste fasi, il prodotto si portava alle filande dove veniva tessuto ed esportato anche in Inghilterra e Francia. Vi erano allora importanti filande a Chieri e Racconigi, in parte ancora visibili. Adesso con la diffusione delle fibre sintetiche la seta ha un’importanza diversa e viene prodotta in quantità decisamente minore. Quindi i nostri amici gelsi sono andati da tempo in pensione e quelli che rimangono forniscono ombra nelle calde giornate estive e rifugio ai piccoli volatili. Noi possiamo gustare i loro frutti sotto forma di gelati o granite oppure andare a raccoglierli direttamente sull’albero. Buona cosa sarebbe se si tornasse a valorizzare queste piante in quanto sono parte della storia della nostra città
Bruno Guglielmino