Dopo molte polemiche è stata approvata in Piemonte la nuova legge“Allontanamento zero.
Interventi a sostegno della genitorialità e norme per la prevenzione degli allontanamenti dal nucleo famigliare d’origine”. L’iter era stato avviato quasi tre anni fa, sulla scia della vicenda Bibbiano, ma restano molte perplessità sul fatto che in determinati casi i minori restino comunque inseriti nelle famiglie di origine.
Dal giornale Vita.it, che è anche espressione di alcune associazioni e realtà del terzo settore impegnate sui temi dell’affidamento e dell’adozione, raccogliamo qualche spunto di riflessione da questa intervista alla professoressa Joëlle Long, esperta di diritto minorile, docente all’Università di Torino.
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Qual è la sua valutazione sulla legge piemontese “sull’allontanamento zero”?
Negativa. Il punto di partenza è condivisibile, ridurre gli allontanamenti in modo da attuare pienamente il dritto del bambino a crescere nella propria famiglia e ad esserne allontanato solo nei casi strettamente necessari per la sua protezione. Questo principio è peraltro pacifico e già scritto nel diritto internazionale e nazionale. Ciò che non è condivisibile è la strada indicata dal disegno di legge per attuare questo diritto del minore. L’analisi del disegno di legge ne mostra l’impronta adultocentrica: si va incontro più alle istanze dei genitori che lamentano gli allontanamenti che all’interesse del minore, disconoscendo che in alcuni casi l’allontanamento è una necessità per garantire adeguata protezione al minore. Si passa dunque dalla tutela prioritaria dell’interesse del minore a quella degli interessi della famiglia d’origine, dalla proclamazione del diritto del bambino a crescere in una famiglia al diritto dei genitori a crescere i propri figli.
In quali punti della futura legge questo cambio di prospettiva si fa evidente?
Per esempio nel riferimento ai parenti: si introduce un obbligatorio coinvolgimento dei parenti entro il quarto grado, ai quali deve essere proposto l’affidamento prima di disporre il collocamento presso una famiglia affidataria terza. Il fatto che nella collocazione del minore in affido vadano privilegiati i legami affettivi esistenti è qualcosa che già esiste nell’ordinamento: la differenza è che ora si introduce in modo rigido il coinvolgimento della famiglia allargata, anche a prescindere dall’esistenza di un rapporto significativo con il minore e senza previsione della necessità comunque di valutare l’idoneità della famiglia in questione. La famiglia allargata, infatti, non sempre è la soluzione migliore: per i nonni per esempio può essere difficile rendersi conto dalle inadeguatezze dei figli e prenderne le distanze. Occorrerebbe valutare caso per caso. Invece il disegno di legge dice che bisogna rivolgersi ai parenti prima di procedere all’affido eterofamiliare. Ma se l’allontanamento diventa un percorso ad ostacoli, rischia anche di non essere tempestivo.
Di per sé supportare le famiglie per prevenire l’allontanamento è un obiettivo valido, non c’è nemmeno bisogno di dirlo. Cosa c’è che non va allora?
Il problema è la strada indicata per attuare questo obiettivo. Poi c’è il grosso tema dei fondi, visto che la legge non stanzia risorse aggiuntive. Si danno nuovi compiti ai servizi sociali (penso per esempio al piano educativo familiare, PEF) senza stanziare risorse, con il rischio che questi vengano interpretati dai servizi come adempimenti di carattere burocratico, da fare a tavolino. Oggi i servizi operano sostanzialmente nell’urgenza e su situazioni molto compromesse: qui si stabilisce che una quota di risorse devono essere messe sulla prevenzione. ma decurtandole dal finanziamento ordinario, cioè lasciando con meno risorse l’urgenza. Siamo tutti d’accordo che la prevenzione è strategica, ma significa investirci risorse economiche e professionali.
Che senso ha parlare di allontanamenti zero quando le cronache ci restituiscono casi come quello della piccola Diana a Milano, di Elsa a Napoli e di Nicolò a Longarone?
Non mi piace strumentalizzare le vicende dei bambini, né in un senso né nell’altro. L’invito che mi sento di fare è a mettersi in ascolto delle testimonianze di ragazzi che hanno vissuto l’esperienza dell’affido e che hanno preso parola contro questo disegno di legge. Penso per esempio ai ragazzi di Agevolando e del Care Leavers Network che evidenziando come tante volte l’allontanamento sia stato per loro fondamentale per avere una crescita adeguata. La narrazione oggi non infrequente che veda negli assistenti sociali e nei giudici minorili dei “ladri di bambini” si nutre dell’idea tradizionale che i panni sporchi vanno lavati in famiglia, al massimo nella famiglia allargata… fino al quarto grado. È stata invece una conquista di civiltà quella del riconoscimento del dovere dello Stato di intervenire per garantire alle minori cure adeguate nel caso di incapacità dei genitori. Così dice tra l’altro l’articolo 30 della nostra Costituzione.