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Perchè speriamo ancora nell'Europa

Società e cultura
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Europa sì, Europa no. Brexit, euroscettici, ma anche la generazione Erasmus, Schengen e la libera circolazione di persone e cose, la moneta unica.
Soprattutto, il sogno di un continente senza guerre, la visione di uomini come Adenauer, De Gasperi e Schuman che, loro si, la guerra l’avevano vissuta. Oggi, dopo le celebrazioni ufficiali per i 60 anni dei Trattati di Roma, a guardare quanto grande sia diventata l’Unione Europea tutto sembrerebbe essere andato tutto per il verso giusto. Sappiamo che non è stato così.

Eppure quel 25 marzo del 1957 Germania, Francia, Italia, Belgio, Olanda, Lussemburgo fecero veramente la storia. In fondo erano passati solo una dozzina d’anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Tutti convinti che, per dirla con Alcide De Gasperi “…il futuro non verrà costruito con la forza, nemmeno con il desiderio di conquista ma attraverso la paziente applicazione del metodo democratico, lo spirito di consenso costruttivo e il rispetto della libertà”. Sicuramente la pace, sessant’anni senza guerre, il più lungo periodo di pace per il Vecchio Continente, è stato un risultato importante. Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata tanta. Il mondo intero, non solo l’Europa, è profondamente cambiato. La tecnocrazia ha mutato in peggio l’idea di Europa sociale e solidale cara ai fondatori. Ed è ormai chiaro a tutti che l’euro da solo non poteva bastare a rappresentare il legame tra i popoli.
Anche Papa Francesco, incontrando i leader europei, si è chiesto cosa è diventata l’Europa: “Quale il lascito dei Padri fondatori? Quali prospettive ci indicano per affrontare le sfide che ci attendono? Quale speranza per l’Europa di oggi e di domani? Le risposte le ritroviamo proprio nei pilastri sui quali essi hanno inteso edificare la Comunità economica europea: la centralità dell’uomo, una solidarietà fattiva, l’apertura al mondo, il perseguimento della pace e dello sviluppo, l’apertura al futuro”.


E ancora: “All’origine dell’idea d’Europa vi è la figura e la responsabilità della persona umana col suo fermento di fraternità evangelica, con la sua volontà di verità e di giustizia acuita da un’esperienza millenaria”. Il Santo Padre ha sottolineato che uno dei problemi dell’Europa è la distanza tra le istituzioni e i cittadini: “Per questo vanno ascoltate le istanze che provengono tanto dai singoli, quanto dalla società e dai popoli che compongono l’Unione. Al contrario c’è la sensazione che oggi vi sia uno scollamento tra cittadini e istituzioni. Affermare la centralità dell’uomo significa anche ritrovare lo spirito di famiglia, in cui ciascuno contribuisce liberamente secondo le proprie capacità alla casa comune: unità e armonia nelle differenze. Dunque, l’Unione Europea ha bisogno di riscoprire il senso di essere anzitutto comunità di persone e di popoli. Solidarietà e compartecipazione devono essere il motore portante, l’antidoto ai moderni populismi. Dialogo, incontro, comprensione reciproca, guardando a un futuro senza paura del diverso, dove la pace nasce dalla giustizia sociale. Non ci si può limitare a gestire la grave crisi migratoria come fosse solo un problema numerico, economico o di sicurezza”.

Francesco ha tracciato per l'Europa una via di speranza: “Quando si apre ai giovani, offrendo loro prospettive serie di educazione, reali possibilità di inserimento nel mondo del lavoro. Quando investe nella famiglia, che è la prima e fondamentale cellula della società. Quando rispetta la coscienza e gli ideali dei suoi cittadini. Quando garantisce la possibilità di fare figli, senza la paura di non poterli mantenere. Quando difende la vita in tutta la sua sacralità”.

Allora eravamo in 6, oggi siamo in 27”, ha detto il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni dopo la firma apposta dai leader europei sulla nuova dichiarazione che vuole dare rilancio all’intera Unione. Un apposto proprio nella stessa sala del Campidoglio, quella degli Orazi e Curiazi, che ospitò la prima riunione delle nuova Europa.

Sono quattro gli impegni che i leader europei hanno preso firmando la Dichiarazione di Roma. Impegni che mirano a ridare ossigeno al progetto dei padri fondatori: per un'Europa sicura e unita nella lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, per un economia “prospera e sostenibile” che “generi crescita e occupazione”; per un’Europa “sociale” che sia capace di combattere “ la disoccupazione, la discriminazione, l’esclusione sociale e la povertà” e dove i giovani “possano studiare e trovare un lavoro ”.

Sono parole, per chi ama l’Europa e non gioca allo sfascio, che rappresentano una speranza di riprendere il cammino. Per questo tutti ci aspettiamo che vengano tradotte in fatti concreti.