L’autunno è la festa della cucina piemontese. I primi freddi, le prime nebbie, le giornate che si accorciano
invogliano a piatti caldi e robusti, da gustare in compagnia al tepore di un bel camino acceso. Grandi protagonisti sono tajarin, bagna cauda, fritto misto, brasato, e il grande bollito, una ricetta d’atri tempi che non tramonta mai.
Questo piatto, re della tavola piemontese, scenografico e sontuoso era molto amato da Cavour e da Vittorio Emanuele II. Si presenta con tagli di carne mista, come punta di petto, scaramella, reale, geretto, cappello del prete e poi testina, lingua, cotechino, gallina, lessati a lungo e portati in tavola caldi e fumanti, seguiti da verdure e da una bella tazza di brodo. Ma l’accompagnamento principe che non deve mancare sono le salse, saporite e vigorose, dette anche “bagnetti”, almeno sette secondo la tradizione: bagnet verde, bagnet ross, salsa di senape, salsa al rafano, cugnà, saussa dj avìje e mostarda. Sono ricette semplici, di vecchia tradizione contadina, nate per aiutare a gustare il “lesso”, un tempo costituito da tagli poco pregiati e meno nobili, ma che l’economia domestica imponeva comunque di non scartare.
La salsa verde è la più tradizionale. Semplice e gustosa, è a base di prezzemolo, aglio, acciughe, pane, aceto, tutto tritato e amalgamato con olio di oliva, che oggi sostituisce l’antico olio di noci. A volte è arricchita con uva sode, e condisce anche peperoni arrosto, acciughe e lingua. Invece il bagnetto rosso si prepara con pomodori, cipolle, carote, aglio, aceto, peperoncino, alloro, zucchero, sale e olio, tutto cotto a lungo in un tegame di terracotta e poi passato al setaccio. Nelle famiglie contadine la si cucinava in estate per metterla poi in conserva per l’inverno. Meno nota, la saussa dj avìje, o salsa delle api, si può trovare nelle trattorie tipiche delle campagne piemontesi. Senza cottura, è fatta con noci tritate, brodo, senape e miele, e il suo sapore dolce e piccante è perfetto con le carni lessate.
Infine la cugnà, una mostarda cremosa e prelibata, è la più antica ricetta di salse piemontesi. Si faceva in autunno, quando in campagna c’era l’esigenza di conservare l’ultima frutta fresca dell’estate, la frutta secca e il mosto d’uva, a disposizione in abbondanza nel periodo della vendemmia, in ottobre. Tipica del Monferrato e delle Langhe, aveva come base il mosto di uve Barbera o Dolcetto. Le donne di casa lo facevano bollire e ridurre sulla stufa a fuoco lento, fino a renderlo cremoso e consistente. Quindi si aggiungevano in pezzi, mele cotogne, fichi, pere “madernasse”, zucca, nocciole, noci e scorze di arancia candite, poi ancora cannella e chiodi di garofano. Quando la cugnà era scura e corposa si poteva versare nelle bürnìe di vetro, i classici vasi da conserva, da riporre ordinatamente in dispensa. In inverno, in occasione dei pranzi delle feste di famiglia, era un piacere aprire i vasi di mostarda per gustarla con la polenta o il gran bollito misto, per riassaporare tutto il gusto dell’autunno.
Maria Cristina Grassi