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Angelo e Antonio Montaldo, due nichelinesi patrioti

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L’8 settembre 1943, ottant'anni fa, il Maresciallo d’Italia Badoglio, capo del governo, annunciò l’entrata in vigore dell’armistizio

con gli anglo-americani.

Il giorno successivo il Re e Badoglio fuggirono da Roma a Brindisi, ormai liberata, consci di aver abbandonato la maggior parte dell’esercito.La Germania fin dalla primavera del 1943, non fidandosi più dell’alleato italiano, aveva già pianificato l’occupazione militare di gran parte della penisola.

Per anni si è parlato pochissimo sulla sorte toccata a oltre 800.000 soldati italiani, molti dei quali di stanza all’estero (Francia, Grecia, penisola balcanica ecc.). Lasciati allo sbaraglio da re e alti comandi, nell’indifferenza anglo-americana, vennero catturati dai tedeschi, anche con l’inganno. Qualche migliaia riuscì a fuggire nella confusione generale, altre migliaia morirono nel viaggio di deportazione. 90.000 aderirono all’esercito fascista della RSI (molti poi disertarono), ma oltre 700.000 finirono in Germania negli Oflag e negli Stalag del Terzo Reich, dove sotto la minaccia delle armi, subendo ogni tipo di angheria e trattati come schiavi, vennero utilizzati come manodopera coatta per lavori pericolosi o molto faticosi. Dal 20 settembre del ‘43 i nostri militari non vennero più riconosciuti dai tedeschi come prigionieri di guerra e per punirli ulteriormente furono declassati a Internati Militari Italiani (IMI), perdendo così i diritti previsti dalla convenzione di Ginevra e i controlli della Croce Rossa.

UN CAPITOLO DELLA RESISTENZA

Molti di loro morirono di stenti, malattie, fame e fatica (oltre 60.000). Nonostante le continue richieste non aderirono alla RSI e furono fedeli alla loro patria: è stata una scelta che va considerata un capitolo della Resistenza e della lotta di liberazione nazionale. Senza quel “No!”, come è stato autorevolmente riconosciuto da alcuni storici,la vittoria alleata sarebbe stata ritardata.

Molte vicende della seconda guerra mondiale sono emerse solo da pochi anni, tra queste quella degli IMI. La loro storia e il loro dramma sono stati per anni ignorati o non approfonditi, in parte anche per motivi di politica interna e internazionale. Infatti dopo la guerra in molti casi gli IMI furono accolti con il sospetto di tradimento o collaborazionismo. Quella situazione umiliante, oltre al comprensibile tentativo di rimuovere dalla memoria un terribile trauma che si porteranno dietro per sempre, spinse molti a non parlarne, a non rievocare la loro storia nella vana speranza di dimenticare.

Si devono a storici tedeschi, ai loro archivi e alla loro documentazione gli studi che, da pochi anni, hanno ristabilito con certezza la verità: gli IMI sono stati dei veri patrioti!

Restano inoltre le testimonianze dei famigliari. Per esempio il racconto che segue è stato per molto tempo tenuto in un cassetto insieme alla documentazione che ne comprova la totale veridicità.

NONNO ANGELO

Questa è la storia del mio bisnonno Angelo Montaldo, nato a Nichelino il 12 aprile 1921. Fino all’età di 20 anni la sua vita scorreva normalmente come quella di tanti giovani della sua età .

Poi durante il servizio militare a Pinerolo come soldato semplice, 3° Battaglione Alpini, Brigata Fenestrelle, scoppiò la 2^ guerra mondiale e venne trasferito a combattere in Balcania sul fiume Drina ai confini con il Montenegro. Lì fu catturato il 7 ottobre 1943 e inviato in Germania su uno di quei treni con vagoni chiusi come vediamo nei film.

Dopo un viaggio interminabile durato più giorni, arrivò nel campo di lavoro Castrof-Rausche e fu portato nella baracca VI C matricola 96062. Ogni giorno con altri prigionieri veniva scortato da militari tedeschi fino a uno stabilimento industriale per la lavorazione del carbone. Il trasferimento avveniva su di un treno, ma la ferrovia era spesso bersagliata dagli attacchi aerei alleati.

Lavorava per 10 ore al giorno e riceveva solo 2 rape e un poco di acqua come nutrimento. Nello stesso stabilimento lavoravano anche altri prigionieri che ricevevano più cibo, ma non era permesso avvicinarli, pena la morte. Chi perdeva la capacità di lavorare veniva preso in consegna dai militari tedeschi e ucciso.

Si potrebbero raccontare centinaia di aneddoti su quel periodo di fame, stenti, vessazioni e privazione delle libertà più elementari. Riuscì a superare tutto questo grazie alla sua giovane età e alla forte fibra che aveva. Fu liberato dalle truppe russe dopo 2 anni di prigionia, era il 23 agosto 1945. è tornato a casa magrissimo e pieno di pidocchi, ma è uno dei pochi che è tornato”.

In questo contributo importante per tenere viva la Memoria, scritto in modo essenziale e quasi con discrezione, colpisce l’ultima frase “...è uno dei pochi che è tornato”.

Già, almeno lui è tornato!

Alla famiglia Montaldo, una tra le più antiche della nostra città, quella dannata guerra aveva già preso per sempre Antonio, 27 anni, fratello maggiore di Angelo.

Antonio Montaldo era tra i soldati italiani che avevano partecipato alla disastrosa campagna di Grecia e che dopo l’8 settembre 1943, fatti prigionieri dai tedeschi, vennero inviati nei campi di prigionia in Germania rifiutandosi di combattere con il Terzo Reich e la RSI.

La prima parte del tragitto avvenne via mare con vecchie imbarcazioni requisite. L'11 febbraio 1944 Antonio venne imbarcato a Rodi per il Pireo con altri 4.115 soldati italiani sul piroscafo Oria, stipati nella stiva all'inverosimile, in condizioni disumane e con i portelli chiusi. Il giorno successivo la nave, nei pressi dell’isola di Patroklos, a sud di Atene, si incagliò su uno scoglio e poi affondò. Pochissimi i superstiti tra i quali solo 37 italiani. Tra i soccorritori il soldato Giulio Antoniacci, marconista del 148°reggimento di genieri, di stanza a Rodi, racconta che quando i tedeschi lo portarono sul posto per seppellire i corpi in una fossa comune la baia era piena di cadaveri (sia sulla spiaggia che in acqua). Erano così tanti che svenne. Le condizioni dei corpi, dopo giorni e giorni in acqua, erano indescrivibili. Un lavoro che durò mesi!

È stato scritto da fonti autorevoli che “pur sapendo tutto per filo e per segno” e nonostante le testimonianze, quella tragedia è stata ignorata per decenni. Nel 1955 mentre cercavano di recuperare del ferro dal relitto, furono ancora trovate nelle stive le salme di 250 naufraghi. Solo nel 2011 grazie a riprese subacquee di due generosi volontari, poi trasmesse dalle TV, gli italiani conobbero quella storia. Erano passati 70 anni!

Antonio Montaldo è ricordato con una targa nel “Parco della Rimembranza” davanti all’ingresso storico del cimitero di Nichelino.

Franco Alessio