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I 50 anni della "chiesa nuova"

Pillole di storia
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Cinquant’anni fa, 15 aprile 1973 Domenica delle Palme, il Card. Michele Pellegrino

consacrava la “chiesa nuova” della Santissima Trinità a Nichelino. Con il passare degli anni l’edificio sarebbe poi stata chiamata “chiesa grande” per distinguerla dalla “chiesa antica” che sorge a pochi metri di distanza, tuttora utilizzata per le celebrazioni feriali.

Con profonda commozione il parroco di allora, canonico Francesco Granero, presentò l’opera al cardinal Pellegrino: “È questo un avvenimento straordinario per la nostra parrocchia. Risale infatti a due secoli fa la consacrazione dell'antica chiesa parrocchiale, avvenuta il 21 maggio 1775, per opera dell'arcivescovo Francesco Lucerna Rorengo di Rorà. L'attuazione di quest’opera risponde ad una reale esigenza religiosa. Basti dire che l'antica chiesa, costruita per appena 400 anime, da decenni deve servire per migliaia di fedeli. Questo problema risale nel tempo. Infatti in una relazione di visita pastorale del 1933, già il mio predecessore, don Vincenzo Burzio, annotava come la chiesa non fosse sufficiente a contenerne la popolazione in continuo aumento. Allora la parrocchia contava poco più di 3.000 anime; ora ne conta oltre 20.000”.

Don Francesco Granero, deceduto nel 1992, fu parroco (… allora si chiamava “pievano”) alla Santissima Trinità dal 1941 al 1976, attraverso quattro decenni di incredibili trasformazioni per Nichelino. “Quando mi fu affidata la cura di questa parrocchia - ricordò in quella giornata del 15 aprile 1973 - il Cardinale Fossati, di venerata memoria, mi disse: ‘Lei avrà un grave compito: quello di costruire una nuova chiesa adatta alla popolazione’. Gli eventi bellici prima, le difficoltà del dopoguerra, lo sviluppo immigratorio in zone lontane dal centro del paese - quali la zona della Crociera prima e di San Edoardo poi - suggerirono di soprassedere alla costruzione di una nuova chiesa qui nel centro, aiutando prima il sorgere di altri centri religiosi. La necessità poi di provvedere la parrocchia di adeguate strutture di carattere sociale ed educativo, specialmente per venire incontro alle famiglie dei nostri lavoratori, ha richiesto ancora di dilazionare la soluzione di questo problema. Quello che non ho potuto vedere attuato all'alba del mio ministero pastorale, il Signore mi ha concesso di vederlo realizzato oggi, giunto ormai al tramonto”.

Il canonico Granero lasciò Nichelino tre anni dopo l’inaugurazione: stanco, malato ed anche amareggiato (erano gli anni della contestazione generale) nel timore che questa sua chiesa per la quale aveva tanto tribolato fosse destinata a rimanere vuota. Cosa che - per i corsi e i ricorsi della storia – invece non si verificò. Classe 1909, teologo, don Francesco fu al tempo stesso intellettuale di spessore, pastore zelante e uomo di azione. Nel dopoguerra e negli anni Sessanta si dedicò alla costruzione di opere come il salone-chiesa di Maria Regina Mundi alla Crociera, la prima chiesa prefabbricata di San Edoardo Re nella zona di via XXV Aprile, la scuola materna e due centri per la gioventù in via San Matteo. Tuttavia l’impresa che lo impegnò maggiormente (fino a rimetterci in salute a seguito di un grave infarto) fu proprio la “chiesa nuova”. Progettato nel 1966 dall’architetto nichelinese Luigi Pratesi, l’edificio risente degli influssi dell’architettura razionalista e riprende alcune linee architettoniche di edifici religiosi realizzati in anni precedenti, come la chiesa del Redentore a Torino Mirafiori Nord, ideata dagli architetti Nicola e Leonardo Mosso e Livio Norzi.

La chiesa di Nichelino a tre navate si caratterizza per un ardito sistema di travi in cemento armato a vista che si intersecano verso l’alto creando una rete e una progressione di volumi. I lavori iniziarono nel 1968, ma dopo pochi mesi il cantiere subì un’imprevista battuta d’arresto. Dopo la prima fase di scavo, constatate le caratteristiche cedevoli del terreno, si dovette modificare la progettazione delle fondamenta per rinforzarle con un poderoso sistema sotterraneo di palificazione. Oltre a far lievitare i costi, le modifiche progettuali portarono anche a ridurre in altezza e in superfice il previsto salone del sottochiesa; da qui derivarono molti crucci per il canonico Granero. Nonostante tutto l’opera fu portata a termine in termine ragionevole e dopo cinque anni la “chiesa grande” aprì le porte ai fedeli.

Passato mezzo secolo, certo non può più dirsi “nuova”, anzi soffre di qualche malanno, come le infiltrazioni d’acqua dal tetto, le difficoltà nell’impianto di riscaldamento, il deterioramento di parti in cemento armato. Tamponate alcune urgenze, si confida in tempi migliori per le finanze della parrocchia e delle famiglie per interventi risolutivi di manutenzione straordinaria.