Siamo in tempo di Quaresima, digiuno e astinenza dalle carni. Se oggi queste regole appaiono difficili da seguire,
nei tempi antichi nei 40 giorni precedenti la Pasqua l’imperativo ai fedeli era “mangiare di magro”. In tavola erano vietati lardo, salumi, strutto, carne, spesso uova e formaggi, mentre erano ammessi pesci poveri (freschi, salati o essiccati), verdure, ortaggi, zuppe di erbe, pasta, farinate e minestroni.
Nei periodi di ristrettezze, la fantasia dava quindi spazio a ricette creative e originali, che ancora oggi fanno parte della tradizione gastronomica italiana. Tra queste è famosa la “frittata di scammaro”, che appartiene all’antica cucina partenopea, ma anche calabrese e siciliana. È una sorta di tortino di spaghetti conditi con olive, pinoli, acciughe e uvetta, senza uova, ma fritto in padella fino a renderlo ben dorato e croccante. Si usa molto in tempo di Quaresima, ma anche nella cena della Vigilia di Natale o nel giorno dei Defunti.
Un vocabolario del dialetto napoletano di fine Ottocento riporta il termine “scammaro” come “magro”, oppure “fare scammaro” come “mangiare di magro”. È opinione diffusa perciò che il nome del piatto derivi dal contrario “cammaro” o “cammarare” cioè “mangiare carne”. Questo nome infatti era usato un tempo in riferimento ai monaci anziani e malati che durante il digiuno o l’astinenza avevano il permesso di mangiare la carne, ma isolati dagli altri e solo nelle proprie “cammere”, ossia le celle.
La prima ricetta risale al 1844 e appartiene al cuoco e letterato Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino nel suo libro La cucina teorica-pratica: “Scaura tre rotole de vermicielle, ma teniente, teniente, li scule e li buote dinto a no tiano co tre mesurielle d’uoglio zoffritto, co miezo quarto d’alice salate…”
Da allora la “frittata di scammaro” è diventato uno dei piatti più consueti sulle tavole dei napoletani, semplice e povero negli ingredienti, ma gustoso e apprezzato anche dai più morigerati.
Ed ecco la versione del gastronomo Vincenzo Buonassisi contenuta nel volume “Il Codice della Pasta”. Scaldare due spicchi d’aglio in abbondante olio poi levarli quando caldi. Unire olive nere a pezzettini, capperi, peperoncino in polvere, prezzemolo tritato, uva passa, pinoli e infine delle acciughe sotto sale, pulite, dissalate e tagliate a pezzetti. Versare in questa salsa i vermicelli lessati ben al dente e scolati. Scaldare una padella con altro olio, versare la pasta condita e cercare di formare un disco uniforme. Cuocere piano fino a che sia ben dorato, girare la frittata e cuocere anche l’altro alto fino ad avere una bella crosticina dorata e croccante.
Maria Cristina Grassi